Se Dio è amore, tutto ciò che è è amore di Dio, e ciò che è consapevole di essere non può che essere consapevolezza dell’amore. Dio, avendoci fatto dono della vita, ci ha dato la possibilità di “fare nuove tutte le cose“. Il Padre si aspetta sempre che il figlio colga il suo dono amorevolmente. E il dono è la divinità. L’uomo la può scegliere, scegliendo l’amore come sua vocazione. Dio elegge tutti nella sua chiamata all’amore, ma resta eletto chi dalla libertà trae come sua qualità l’amore. Sappiamo prima di sperimentarlo che l’amore è fine, è pienezza, è punto
punto di arrivo, è felicità possibile. Quando lo sperimentiamo scopriamo che noi siamo il nostro fine, e che la nostra pienezza è la sola dimensione che ci soddisfa. L’amore è dunque una scelta che rende possibile, nel tempo, la divinizzazione della nostra natura. Per salvare la radicale libertà dell’uomo, su cui si fonda l’autonomia e la possibilità dell’uomo di autocrearsi, l’uomo non può ricevere dall’altro, fosse anche Dio, che possibilità e condizioni, mai determinazioni. Anche Gesù ha dovuto riscegliere di essere Uomo-Dio. Egli poteva dire no alla mirabile condizione di libertà ed amore che la sua storia paterna e materna gli offrivano. Egli, per essere pienamente uomo, ha dovuto scegliere, come ogni uomo può fare, l’amore. Solo l’amore è relazione non amorfa, ma scelta creativa capace di inaugurare la relazione dinamica ed espansiva tra più soggettività. Dio è effettivamente una risposta alla soggettività umana, in quanto concepito capace di conciliare la soggettività assoluta, con l'assoluta comunione. Gesù ci ha rivelato il volto di Dio come pienezza, come fine, e il volto dell’uomo come possibilità di raggiungere quel fine, in fedeltà allo Spirito. Questi, incessante, suscita nel cuore degli uomini il desiderio-esigenza della nostra immagine definitiva, in cui Dio si possa rispecchiare. Il nostro tempo storico e personale serve a scegliere di vivere infinitamente e a superare i limiti che la nostra creatività esige per assomigliare al Padre Creatore.
Il potere come dominio, è un atteggiamento di possesso, il cui orizzonte totale esige condizioni di finitezza, di staticità, di ordine, di modelli, di gerarchia, di leggi, per poter controllare, sistemare, comandare, discriminare. Attraverso il dominio l’uomo riduce radicalmente la propria identificazione soggettiva quale originaria sorgente creativa, e ripone il senso di sé nelle cose e nei modelli, in cui misura la propria identità. E ciò che non rientra nella propria misura, diventa inesistente: non c’è futuro, è come se si riducesse il “tutto” a ciò che si vede, si tocca, si capisce, si domina in quel momento. E quel momento è tutta la visione di sé e del mondo. Nel rapporto con l’altro, il desiderio che chiede di diventare senso, cessa di essere innocente: l’altro, con la sola sua presenza, ti impone di essere dio o demone. Lo spazio dell’uomo non è solo fra il “nulla” e l’ ”essere”, ma fra essere amore o essere potere, dominio. La possibilità dell’uomo di essere quel che vuol essere, si determina nella qualità, che, se è amore, è infinitamente creativa, relazionale. Quando l’originario soggetto che è l’uomo non ha ancora determinato il suo modo di essere, se essere cioè amore o potere, le sue azioni sono di dominio, in quanto non collegate al senso. Nel dominio infatti la soggettività è determinata ancora da "l'io sono", mentre "l'io sono amore" è ancora nel desiderio, nell'indefinito senso. "L’io sono" è giusto e necessario, ma delimita il proprio esserci al puro esserci soltanto, non serve se non a stabilire il limite della pura apparenza.


Divino-Amore
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